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Questa proprietà è inagibile

La locandina di "Questa ragazza è di tutti"

La locandina di “Questa ragazza è di tutti”

(Attenzione, contiene spoiler) “Questa proprietà è inagibile”. Così recita la scritta sul cartello affisso all’ingresso di una casa abbandonata che si trova in una piccola città del Mississippi, Dodson. Adesso quella casa è vuota, non ci abita più nessuno, e se continuerà ad essere trascurata, un giorno cadrà a pezzi. Le mura si sbricioleranno e di quella vetusta dimora non rimarrà più niente. Sarà come se non fosse mai esistita, ma dovevate vederla una volta, quella vecchia casa. Solo qualche anno prima che fosse lasciata al suo destino era piena di gente. La proprietaria si chiamava Hazel Starr (Kate Reid), e aveva due figlie, Alva (Natalie Wood) e Willie (Mary Badham). Quell’abitazione fungeva da pensione, e ci vivevano tante persone, perlopiù lavoratori della ferrovia locale. Erano gli anni della Grande Depressione. Si faceva la fame, mettere insieme il pranzo con la cena era un’impresa, di lavoro ce n’era poco, di soldi ancora meno, e si tirava avanti come si poteva. Nonostante la miseria pesasse come un macigno, la gente non si perdeva d’animo, e bene o male si trovava sempre il modo per divertirsi e dimenticare i problemi. Quella casa era piena di vita: la gente rideva, scherzava e ballava finché aveva fiato. Non ci si fermava mai. Alva era stupenda. Avreste dovuto vederla. Sembrava uscita da un dipinto. La sua bellezza era ammaliante. La sua presenza emanava una luce abbacinante. I suoi occhi erano profondi come l’oceano. Era la ragazza più avvenente del paese. Era tanto attraente da far girare la testa agli uomini. Giovani o vecchi che fossero, non ce n’era uno che sapesse resistere al suo fascino. Tutti, dal primo all’ultimo, avrebbero dato qualunque cosa per passare un po’ di tempo con lei. E Alva non disdegnava la compagnia di nessuno, anche a costo di essere bollata come una prostituta. Lei, però, desiderava andare lontano da quel posto. Le sarebbe piaciuto trasferirsi in una grande città. Guardava i treni che sfrecciavano ad alta velocità, e intanto che li fissava, sognava che in un futuro non troppo distante uno di essi l’avrebbe portata a New Orleans, la meta dei suoi sogni. Alva faceva la carina con tutti, ma il suo cuore batteva solo per un uomo: Owen Legate (Robert Redford), un giovane biondo e con gli occhi azzurri che l’aveva stregata fin dalla prima volta in cui i loro sguardi si erano incontrati. Lei era convinta di aver trovato l’uomo della sua vita, colui che l’avrebbe condotta con sé in chissà quale parte del mondo.

Robert Redford e Natalie Wood

Robert Redford e Natalie Wood

E per un attimo le cose andarono veramente così, ma la felicità dei due giovani innamorati fu di breve durata: il sogno d’amore di Alva e Owen, infatti, si spezzò sul più bello e la ragazza finì per morire prematuramente. Il fato volle che andasse così. Evidentemente era scritto nel destino, che Alva non potesse essere felice. Certe persone sembrano condannate all’infelicità, come se per loro fosse impossibile provare gioia. Alva era una di quelle persone. Adesso il suo corpo riposa in pace nel cimitero. Anzi, nell’”orto delle ossa”, come dice sua sorella. Dodson ormai è un paese fantasma: perfino i treni, quelli che Alva osservava con occhi sognanti e speranzosi, non passano quasi più di lì. La Grande Depressione si è portata via tutto. I sogni sono svaniti, le speranze andate in frantumi. Non c’è rimasto praticamente più nessuno in quella cittadina. Ci sono soltanto polvere, desolazione e binari vuoti. Nonostante Dodson sia immersa nello squallore e metta tristezza solo a guardarla, Willie si ostina a restarvi, come se fosse prigioniera di quel luogo dimenticato da Dio e dagli uomini. Da quando Alva è morta a causa di una “malattia di petto”, come la protagonista di “Amanti senza domani” di Tay Garnett, Willie passa le giornate camminando in equilibrio sui binari arrugginiti della ferrovia, e mentre passeggia sulle rotaie cercando di non cadere per terra, canta una canzone nostalgica indossando un vestito rosso che apparteneva ad Alva. “Augurami un arcobaleno / Augurami una stella / Puoi darmi tutto ciò / Ovunque tu sia / Sul mio cuscino i sogni / Nei miei occhi le stelle / A un ballo in maschera / Il nostro amore vince cose belle / Augurami rose rosse / E palloncini gialli / Un turbinio di lustrini neri / Al ritmo d’allegre melodie / Voglio tutti questi tesori / Tutto ciò che puoi darmi / Augurami un arcobaleno / Finché vivrò”. Il tempo passa, alcune cose cambiano, altre invece restano sempre uguali, e con il trascorrere dei giorni la memoria si dissolve. Il passato diventa un pallido ricordo, ma la storia di Alva è impossibile scordarla. “Questa proprietà è inagibile” dice il cartello appeso all’ingresso della casa in cui ha vissuto l’affascinante e infelice Alva. Un giorno, forse, quella casa cadrà a pezzi e di essa non rimarranno nemmeno le macerie; ma dovevate vederla una volta, quella vecchia casa, era così piena di vita…

VOTO: 7/10

Aspettando Harry Lime

La locandina di "Il terzo uomo"

La locandina di “Il terzo uomo”

(Attenzione, contiene spoiler) Prendete un ottimo scrittore, Graham Greene, e fategli scrivere una sceneggiatura. Poi radunate un cast di prima grandezza, che comprenda attori del calibro di Joseph Cotten, Alida Valli, Orson Welles e Trevor Howard. Dopodiché ingaggiate un grande direttore della fotografia, Robert Krasker, maestro del chiaroscuro che illumina le scene da par suo, e un talentuoso suonatore di cetra, Anton Karas, in grado di comporre una colonna sonora destinata ad entrare nell’immaginario collettivo. Infine affidate tutto questo ben di Dio a un regista capace e preparato, Carol Reed, che sa dove e come posizionare la macchina da presa e che conosce tutti i trucchi del mestiere. Se mettete insieme tutta questa bella gente, potete stare certi che otterrete qualcosa di grandioso. Nel 1949 le persone sopra citate lavorarono veramente tutte allo stesso film, e il risultato che ne scaturì fu “Il terzo uomo”, uno dei film più leggendari, citati e imitati di sempre, nonché uno dei rari casi in cui nel mondo del cinema la somma dei talenti coinvolti nella realizzazione di un film ha dato l’esito sperato. Nel cinema, infatti, non sempre uno più uno fa due, ma nel caso de “Il terzo uomo” sì, perché qui sia davanti che dietro la cinepresa c’era gente che sapeva fare il suo lavoro egregiamente e che si è impegnata a fondo per ottenere il massimo risultato possibile. C’è Joseph Cotten che interpreta uno squattrinato scrittore americano di modesti romanzi western che si improvvisa detective, Holly Martins; c’è Alida Valli (la quale nei titoli di testa viene citata solo con il cognome) che recita nei panni di un’affascinante e malinconica attrice teatrale cecoslovacca, Anna Schmidt; c’è Trevor Howard che ricopre il ruolo di un ostinato poliziotto inglese che dà la caccia ai criminali, il maggiore Calloway; e soprattutto c’è Orson Welles che presta il volto a un personaggio amorale e ambiguo giustamente entrato nel mito, Harry Lime, un cinico e spietato trafficante di penicillina che rappresenta il male in persona, che entra in scena solo a metà film ma che, nonostante compaia poco, finisce per diventare il protagonista assoluto e incontrastato della vicenda.

Orson Welles

Orson Welles

Anche quando non si vede, Harry è come se fosse sempre presente, dal momento che tutti parlano di lui: da Holly, il suo vecchio amico che giunge a Vienna dall’America per incontrarlo, ad Anna, la sua amante che dopo la sua morte si ritrova sola e con il cuore spezzato, passando per Calloway, che vorrebbe fargli pagare tutto il male che ha fatto e tutto il dolore che ha causato con il suo traffico illegale di penicillina sbattendolo in prigione e gettando via la chiave per sempre. Tutti parlano di Harry, dall’inizio alla fine del film. E’ lui il fulcro attorno al quale ruota tutta quanta la storia. Che sia vivo oppure morto, non importa: Harry è il centro di tutto. Lui, però, non si fa vedere, almeno nella prima parte. Si fa attendere come Godot, ma a differenza di quest’ultimo, che non arrivava mai, Harry, a un certo punto, arriva eccome. La sua entrata in scena è da antologia: dopo aver fatto credere agli altri di essere passato a miglior vita, più o meno a metà film lo vediamo comparire di notte nel buio dell’androne di un palazzo completamente vestito di nero, lui che sembrava fosse stato investito e ucciso da un’automobile e che era stato tumulato davanti agli occhi dei suoi amici, mentre un gatto gli fa le fusa e lui sorride sardonico. Un’apparizione folgorante, la sua, di quelle che lasciano il segno e che non si dimenticano più. Poi, però, dopo essere sbucato dal nulla come un fantasma, Harry sparisce di nuovo. Si nasconde nelle fogne come un topo, e in quel posto lurido e maleodorante, al termine di un lungo e spettacolare inseguimento, si compirà il suo amaro e tragico destino.

Alida Valli e Joseph Cotten

Alida Valli e Joseph Cotten

Insomma, dei quattro protagonisti, Harry Lime è quello che si vede di meno, ma è anche quello di cui si parla di più e che funge da filo conduttore tra i vari personaggi che popolano il film. Senza di lui, “Il terzo uomo” perderebbe molto del suo fascino. E’ banale e scontato dirlo, ma è la pura e semplice verità. Aveva ragione Alfred Hitchcock quando diceva che “più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film”. Harry Lime è un cattivo coi fiocchi: malvagio, crudele e insensibile, la sua ombra minacciosa si allunga sinistra su tutta la pellicola. In una delle tante scene memorabili, mentre discute con Holly, Harry, con il suo tipico atteggiamento sprezzante, giustifica le sue azioni criminose con un monologo indimenticabile: “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”. Welles è superlativo, e con la sua imponente e inquietante presenza domina il film in lungo e in largo, ma anche Cotten, Howard e la Valli sono eccellenti. Impeccabile la regia (magistrale l’uso del grandangolo), sontuosa la fotografia (per la quale Krasker vinse l’Oscar) e stupenda la colonna sonora (e pensare che Karas era alla sua prima esperienza come compositore di musica per film). E per ultimo, ma non per questo meno importante, il fascino decadente di Vienna, una città messa in ginocchio dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e divisa in quattro zone presidiate dai russi, dagli americani, dagli inglesi e dai francesi, che si rivela una location perfetta per ambientarvi una storia che parla di intrighi, delitti, traffici di medicinali e morti che ritornano. “Il terzo uomo” (premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes) è un classico intramontabile e imperdibile.

VOTO: 9/10

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