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Philippe e Driss

La locandina di "Quasi amici"

La locandina di “Quasi amici”

Se fosse un film americano, probabilmente “Quasi amici” sarebbe premiato con una pioggia di Oscar. E non perché sia un capolavoro, ma perché la storia (vera) narrata da Eric Toledano e Olivier Nakache ha tutto quello che serve per conquistare i giurati dell’Academy. I protagonisti sono due uomini, uno bianco e ricco sfondato, Philippe, paralizzato dal collo in giù in seguito a un incidente con il parapendio, l’altro nero e povero in canna, Driss, che tira avanti grazie al sussidio di disoccupazione, i quali finiscono per diventare amici nonostante le profonde differenze che li contraddistinguono. I due, infatti, sono diversi come il giorno e la notte: Philippe è appassionato di arte e ascolta la musica classica, mentre Driss fuma i cannoni e ama il funk. Il primo adora Vivaldi e Bach, il secondo i Kool & the Gang e gli Earth, Wind & Fire. Il destino vuole che Driss diventi il badante di Philippe e che quest’ultimo riacquisti la voglia di vivere proprio grazie al suo nuovo amico, il quale, sebbene si trovi in gravi difficoltà economiche, prende la vita con leggerezza ed entusiasmo. Il film in Francia ha incassato uno sproposito, e anche in Italia è andato molto bene al botteghino. Ci si chiede, però, che cosa ci abbia trovato di bello il pubblico in una pellicola di livello medio-basso come questa. Solo perché mischia, neanche tanto bene, risate e commozione? Se non ci si chiama Charles Spencer Chaplin, mescolare ironia e patetismo è assai difficile, e ai modesti Toledano e Nakache la cosa è riuscita in modo appena dignitoso. Certo, ai due registi bisogna riconoscere di avere avuto il coraggio di raccontare una vicenda tragica con un tono semiserio, ma il problema è che la loro tragicommedia risulta troppo sbilanciata verso un umorismo grossolano. Di fronte a battute di bassa lega come “niente cioccolato per l’handicappato” si rimane francamente perplessi, per non dire sconcertati, e si fa veramente fatica a capire come sia possibile che alcuni le trovino divertenti. La regia non regala grandi sussulti, e la sceneggiatura (di Toledano e Nakache), oltre a proporre una serie di personaggi secondari che hanno lo spessore della carta velina (come la figlia di Philippe, Elisa, e il di lei fidanzato), fa di Driss una specie di Mary Poppins che risolve i problemi degli altri con una facilità disarmante. “Quasi amici” vorrebbe essere un inno all’amicizia, ma in cento e passa anni di cinema di inni all’amicizia se ne sono visti tanti e quasi tutti sono migliori di questo. Film come “Dersu Uzala” di Akira Kurosawa, “Jules e Jim” di François Truffaut e “Un mercoledì da leoni” di John Milius, “Quasi amici” non li vede nemmeno con il binocolo. Meno male che nei panni di Philippe e Driss ci sono rispettivamente François Cluzet e Omar Sy, che con le loro ottime interpretazioni riescono a infondere brio al film. Se il risultato finale arriva alla sufficienza, il merito è tutto loro.

VOTO: 6/10

Un cane di nome Buck

La copertina de "Il richiamo della foresta"

La copertina de “Il richiamo della foresta”

Il cane, si sa, è il miglior amico dell’uomo. Purtroppo, però, non sempre l’uomo è il miglior amico del cane. E’ questa la lezione che Buck, il cane protagonista de “Il richiamo della foresta” di Jack London, impara sulla propria pelle. Buck, che ha quattro anni e pesa sessantotto chili, è figlio di un San Bernardo, Elmo, e di una cagna da pastore scozzese, Step, e vive nella lussuosa e sconfinata magione del giudice Miller, dove passa le giornate facendo compagnia al suo padrone e alla di lui famiglia. In quella casa, Buck viene trattato come un re, ma la sua tranquilla e agiata esistenza è destinata a cambiare radicalmente quando, una notte, uno dei giardinieri che lavorano nell’abitazione del giudice, Manuel, che ha il vizio di spendere i soldi del suo magro stipendio nel gioco del lotto cinese, lo rapisce per venderlo a un losco individuo. E così Buck, dopo essere stato costretto ad affrontare un lungo viaggio, finisce in Alaska, lui che non ha mai visto la neve in vita sua, dove si ritrova a fare il cane da slitta per due corrieri, Perrault e François. Gli esseri umani non fanno una bella figura, in questo stupendo racconto di London. Tranne qualche eccezione (come il giudice Miller e il cacciatore John Thornton), l’uomo si rivela un essere spregevole che non si fa nessuno scrupolo a maltrattare gli animali infliggendo loro atroci sofferenze. La simpatia dell’autore, naturalmente e giustamente, è tutta per Buck, il cane che di punto in bianco si vede stravolgere la vita e che, dopo aver imparato “la legge del bastone e della zanna”, dimostra di avere un coraggio da leone e una volontà di ferro che gli consentono di farsi rispettare dai suoi simili e anche di resistere a condizioni ambientali estreme come quelle che si trovano in Alaska. La figura di Buck si staglia imponente su tutte le altre, tanto da dominare incontrastata le pagine del libro, e la sua epica e commovente vicenda, raccontata da London con uno stile incisivo e privo di fronzoli, arriva a toccare il cuore del lettore attraverso una serie di momenti struggenti che farebbero piangere anche i sassi. Appassionante romanzo di avventura, coinvolgente storia di sopravvivenza, maestoso inno alla natura, alla libertà e alla convivenza civile tra uomini e animali, “Il richiamo della foresta” è una lettura obbligata.

VOTO: 10/10

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