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Andy Murray: il tennista che fa collezione di finali Slam perse

Andy Murray

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La sconfitta che ha rimediato contro Novak Djokovic nell’atto conclusivo dell’ultimo Roland Garros ha consentito a Andy Murray di compiere la poco invidiabile impresa di perdere l’ottava finale Slam della sua carriera su un totale di dieci disputate. Australian Open 2010, 2011, 2013, 2015 e 2016, Roland Garros 2016, Wimbledon 2012 e US Open 2008: questo è il lungo elenco delle finali Slam perse da Murray, che quando è giunto all’ultimo atto di un Major è riuscito a imporsi soltanto in un paio di occasioni, US Open 2012 e Wimbledon 2013. Due sole vittorie su dieci tentativi è un bilancio che definire disastroso è poco. A causa della sua propensione alla sconfitta, alcuni gli hanno affibbiato l’etichetta di “magnifico perdente”. Per completezza di cronaca, va detto che nella bacheca di Murray, nato a Glasgow il 15 maggio del 1987, oltre alle due sopracitate prove del Grande Slam ci sono anche trentaquattro tornei del circuito ATP (su quarantasei finali), tra cui Cincinnati nel 2008 e 2011, Miami nel 2009 e 2013, Madrid nel 2008 e 2015 e Roma nel 2016, un oro olimpico, a Londra, nel 2012, e una Coppa Davis, nel 2015, che ha vinto quasi da solo, dato che ha trascinato la Gran Bretagna al successo aggiudicandosi tutte le undici partite, otto di singolare e tre di doppio (in coppia con suo fratello maggiore, Jamie), che ha disputato; ma se andrà avanti di questo passo, Andy rischierà di essere ricordato più per le sue sconfitte che per le sue vittorie, e non è da escludere che un giorno, quando avrà smesso di giocare, qualcuno scriverà un libro sui suoi insuccessi, intitolandolo “Andy Murray: il tennista che faceva collezione di finali Slam perse”. A sua parziale scusante, bisogna dire che in tutte le finali Slam in cui si è dovuto arrendere ha sempre affrontato rivali di alto livello come Federer (tre volte: US Open 2008, Australian Open 2010 e Wimbledon 2012) e Djokovic (cinque volte: Australian Open 2011, 2013, 2015 e 2016, Roland Garros 2016), quindi non ha perso contro avversari abbordabili e nettamente alla sua portata, ma contro giocatori di grosso calibro, complessivamente più forti di lui.

Andy Murray

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Dei cosiddetti Fab Four dell’attuale epoca tennistica, ossia Roger Federer, Novak Djokovic, Rafael Nadal e, per l’appunto, Murray, il ventinovenne scozzese è quello che gode di minor considerazione. Viene naturale paragonarlo a Ringo Starr, il batterista dei Beatles che si doveva accontentare di quel poco che gli lasciavano gli altri tre fenomeni che componevano il formidabile quartetto di Liverpool, ossia John Lennon, Paul McCartney e George Harrison. Così come Ringo, anche il buon Andy si deve accontentare di quel poco che gli lasciano gli altri tre fuoriclasse della racchetta. Può darsi che sia un caso, ma i suoi più grandi successi, US Open, Wimbledon e l’oro olimpico, il britannico li ha ottenuti nel periodo in cui è stato allenato da Ivan Lendl, l’ex campione cecoslovacco naturalizzato statunitense che ha vinto otto Slam (tre Roland Garros, nel 1984, 1986 e 1987, tre US Open, nel 1985, 1986 e 1987, e due Australian Open, nel 1989 e 1990) su diciannove finali. Sarà forse per questo motivo che Murray ha nuovamente sentito l’esigenza di rivolgersi a Lendl, nella speranza che quest’ultimo, con la sua esperienza e sagacia tattica, lo faccia tornare a vincere i titoli più prestigiosi, quelli che regalano l’immortalità tennistica, ovvero gli Slam. Il rinnovato binomio Murray-Lendl, per il momento, ha permesso al primo di conquistare il Queen’s per la quinta volta nella sua carriera, diventando così il giocatore che vanta il maggior numero di trionfi nel suddetto torneo sull’erba in preparazione di Wimbledon che si svolge ogni anno a Londra in un circolo ricco di fascino e che profuma di antico. Ai tempi della loro prima collaborazione, Lendl aveva contribuito ad apportare dei significativi cambiamenti nel gioco di Murray, trasformandolo in un tennista più aggressivo da fondo campo, in modo che fosse lui a dettare il ritmo degli scambi per evitare di essere schiacciato dalla pressione dell’avversario. Adesso che i due sono tornati a lavorare insieme, vedremo se Lendl riuscirà ad aiutare Murray a scrollarsi di dosso l’etichetta di “magnifico perdente”. 

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